HOBBES

 


LA PROSPETTIVA MATERIALISTICA

Secondo Hobbes gli individui sono animati dall’egoismo e sono mossi ad agire in vista del proprio interesse personale vivendo così in una situazione perenne di conflitto di tutti contro tutti. 

Tale pensiero deriva dal fatto che egli guarda l’uomo come un essere interamente naturale e corporeo, per cui sia le funzioni fisiologiche sia quelle mentali devono essere spiegate in termini esclusivamente materiali— prospettiva materialistica.

Hobbes afferma inoltre che ogni conoscenza deriva dai sensi e che, a sua volta, la sensazione può essere spiegata in termini di movimento dei corpi. Infatti, essa nasce da un “moto” sollecitato dagli oggetti esterni negli organi di senso, facendo si che l’apparato percettivo dell’uomo reagisca producendo le immagini degli oggetti. Facendo ciò tali immagini rimangono nella memoria e collegandosi con altre immagini sensibili, danno origine all’immaginazione, che non è nulla di immateriale in quanto si limita a connettere le sensazioni. 

Hobbes pensa che la scienza non rispecchia la realtà, ma che è soltanto un reticolo di concetti convenzionali, in quanto l’uomo non può conoscere le cause dei fenomeni, visto che l’artefice è Dio, infatti non si può avere una vera conoscenza della natura, e la ragione può elaborare concetti individuali delle cose, senza però, raggiungere una sistematica descrizione dell’universo dotato di validità oggettiva.

La ragione può solo definire concetti in maniera soltanto generale attraverso l’uso del linguaggio, ed è grazie ad esso che possiamo pensare ed esprimere il nostro pensiero.

Le parole consentono alla ragione umana di operare quella generalizzazione necessaria alla costruzione della conoscenza.

Quindi, in sintesi, egli dice che tutta l’attività mentale è ricondotta alla sensazione e al movimento dai quali  derivano le immagini delle cose a cui sono attribuiti i nomi che vengono utilizzati nei ragionamenti.

Hobbes afferma che si può parlare solo di “libertà di fare ciò che la volontà ha deciso”, ma mai di “libertà di volere”, in quanto non è libera a è necessaria da motivi che dipendono da oggetti esterni all’uomo.


LA TEORIA DELL’ASSOLUTISMO POLITICO

Hobbes afferma che gli individui non possiedono un naturale istinto “socievole” o “amorevole” essendo dominati da sentimenti quali il bisogno o il timore.

Lo stato di natura, secondo il filosofo, è la condizione originaria in cui regna la guerra di tutti contro tutti, infatti ogni persona mira a procurarsi ciò che serve alla propria sopravvivenza e auto conservazione.  In tale contesto non esiste limitazione al diritto dell’individuo ma per tanto è inevitabile la sopraffazione reciproca. In questo stato di natura non c’è spazio per dedicarsi al lavoro, alla scienza o alle arti, visto che i frutti dell’operosità sarebbero incerti ed esposti alla minaccia costituita dall’invidia e dall’avidità degli altri. In questo stato la vita dell’uomo è solitaria, misera, brutale e breve.

La vita degli uomini è costellata di misure atte a difendersi e tutto ciò è segno della predisposizione alla guerra che caratterizza gli uomini.

Colui che desidera continuare a vivere in tale condizione si contraddice, perché vuole la propria vita e la propria morte allo stesso tempo. Se gli uomini vogliono sopravvivere devono evitare la lotta e quindi rinunciare al diritto naturale. A tal proposito gli uomini devono sacrificare i propri diritti naturali stabilendo cosi un pactum unionis, ovvero un patto di unione.

Da tale  patto deriva il pactum subiectionis, ovvero il patto di sottomissione, grazie a cui gli uomini conferiscono tutto il proprio diritto e la propria forza a un singolo o a un’assemblea. Il potere attribuito all’autorità deve essere assoluto. Hobbes spiega che si può raggiungere il ruolo di sovrano in due modi:

1. Impegno della forza

2. Accordo tra le persone

Quest’ultima configura uno Stato politico, mentre la prima uno Stato per autorità.

La preferenza del filosofo è per la monarchia, in quanto, secondo lui, non c’è motivo di credere che il re agisca per il proprio interesse privato anzi che a quello pubblico, nessun re, infatti, trae giovamento dalla povertà o dall’insicurezza dei sudditi.

Per Hobbes il potere del monarca non ha termine, se non con la morte, e dal momento che il sovrano é la legge è a lui che compete la valutazione del giusto e dell’ingiusto, prevenendo così possibili favoritismi.

Egli ammette anche dei limiti al potere dello Stato, in particolare quando gli organi dello Stato mettono in pericolo la vita dei sudditi, essi hanno dunque il diritto di disobbedirgli nel caso venisse chiesto loro di di fare qualcosa che possa mettere in pericolo la propria vita e quella degli altri.

Hobbes affronta anche il problema del potere religioso. Egli rimase anglicano tutta la vita ma soltanto in maniera formale, in quanto il suo razionalismo lo portava a disconoscere alle religioni ogni prerogativa e ogni autonomia. Secondo  il filosofo le religioni sono una delle fonti principali delle guerre civili. Per tanto il capo dello Stato deve essere anche la suprema autorità religiosa.




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